Contro ogni previsione, la scuola serale continua ad essere di gran lunga l’attività più impegnativa e continuativa del nostro gruppo: e ciò non per semplice volontà nostra, ma perché in essa ed intorno ad essa continuano ad affluire in numero significativo, sia lavoratori mancanti di licenza media, sia persone d’ogni tipo disposte a dedicare qualche anno del loro tempo libero ad una scuola popolare.
I più importanti sono naturalmente i primi: gli “allievi”. Nel corso degli ultimi 2-3 anni essi si sono andati distinguendo in due gruppi profondamente diversi: gli adulti (età media: 28 anni, con un ventaglio che va dai 20 ai 42) e gli adolescenti (età media 16 anni). Questa diversità ci ha costretti a dividere la scuola in due settori, che analizzeremo separatamente.
La classe degli adulti
Si tratta di un gruppo che oscilla, di anno in anno, tra le 30 e le 50 persone, ed è composto per metà di operai, per il resto di lavoratori d’altri settori, casalinghe, ecc.
Tranquillo e disciplinato, questo gruppo esprime una forte
domanda di cultura, che a volte rischia di tradurre in modelli scolastici abbastanza tradizionali. Un programma come il nostro, che tende a promuovere il dibattito, a rompere la divisione tra le materie tradizionali, provoca talvolta delle assemblee di fuoco, in cui abbiamo il nostro bel da fare a spiegare che il nostro tipo di scuola ha una sua dignità culturale in specifico riferimento alla condizione operaia. Il risultato di queste discussioni non è poi così male, dato che ogni anno qualcuno degli ex allievi accetta di collaborare con la scuola almeno per un anno.
Certo, il tempo a nostra disposizione è breve: nove mesi per aprire un dialogo, preparare all’esame, conoscere le persone. Non c’è da stupirsi se i risultati, piuttosto brillanti in sede di esame (negli ultimi 2 anni, in media esattamente 30 promossi all’esame di licenza media, inclusi i giovani, escluse le elementari), non si concretano per tutti in rapporti duraturi tra il “Lombardini” e gli ex allievi.
La classe degli adolescenti
Qui il discorso è esattamente l’opposto: risultati variabili agli esami (dall’ottimo al sufficiente ricevuto quasi per grazia), enorme indisciplina, rumore, risse, furti: ma quando la nostra “scuola” incide su qualcuno di questi ragazzi terribili, allora incide
nel profondo e sulla durata: non semplicemente perché essi diventano collaboratori, talvolta preziosi, della scuola o del circolo, ma soprattutto perché la loro vita è profondamente influenzata dagli anni passati qui. Se per gli adulti la nostra scuola ha una funzione tra il sociale e il culturale, per gli adolescenti essa ha indubbiamente una funzione educativa-morale.
Certo, lo sforzo necessario per raggiungere questi magri risultati, è enorme, talvolta logorante: ¾ dei nostri insegnanti volontari è concentrata sulle due classi “giovani”, benché esse totalizzino insieme un numero di allievi leggermente inferiore all’unica classe “adulti.
Tecnicamente, le classi “giovani” sono divise in una “prima” (circa 20 persone) che tende anzitutto a “socializzare” gli adolescenti, cercando di interessarli con un programma il meno scolastico possibile; e una “seconda” (circa 15 persone) che prepara per l’esame di terza media.
Classi interessanti
Ambedue le classi sono estremamente interessanti: i
“giovani” (cioè i sedicenni) non sono infatti “motivati” dal desiderio di conseguire la licenza media: sono piuttosto mossi da due spinte contraddittorie: da una parte, un immenso bisogno di amicizia (tra di loro, e con gli insegnanti), e dall’altra un forte bisogno di affermazione di sé. Le cause di questo atteggiamento non dipendono semplicemente dall’età: esse risiedono in parte nella situazione tesa delle famiglie d’origine, in parte nella collocazione di questi ragazzi sul mercato del lavoro: quasi tutti vivono di un
lavoro precario (muratori, garzoni) e solitamente assai duro. Perciò la sera vengono qui e si sfogano. E non bisogna dimenticare che poco meno della metà sono stati bocciati dalla scuola media che è qui a due passi da casa nostra: la stessa scuola che poi guarda con occhio severo i programmi che presentiamo per i nostri candidati!
Alcuni altri sono semplicemente degli
analfabeti, che per giunta si vergognano di esserlo: nel 1976 ne abbiamo portati 7 all’esame di licenza elementare, e non ci rammarichiamo d’aver dedicato a questa loro preparazione quasi tutto il tempo d’uno dei nostri collaboratori più qualificati.
Gli insegnanti
Fortunatamente, gli insegnanti non mancano: una quarantina di persone, di cui 1/3 tecnici, 1/5 operai, il resto professori e studenti. Metà abitano a Cinisello: gli altri si dividono tra Milano e i comuni della Cintura (Sesto S.G., Monza, Muggiò, Nova, Cormano). Tutti hanno un lavoro normale, quasi tutti hanno anche altre attività: nel sindacato, nelle chiese, nei quartieri, nei partiti. Il “Lombardini“ non è dunque il loro solo luogo d’impegno morale e sociale.
Questo fatto è positivo, ma ci pone dei problemi particolarmente delicati, e dobbiamo constatare che raramente una persona “resiste” come insegnante al “Lombardini” per più di 3-4 anni. Questo fatto ci induce a domandarci se abbiamo fatto tutto il possibile per accogliere bene i nuovi insegnanti, talvolta pieni di teorie, ma anche carichi d’una particolare freschezza e d’una straordinaria aderenza allo “spirito del tempo”; e d’altra parte dobbiamo confessare di non riuscire a mantenere un
legame organico con chi ci lascia dopo alcuni anni di intensa attività: forse perché quando torna vede troppe facce nuove? Forse perché si scatena un inconscio spirito di gruppo nei confronti di chi, “dopo aver posto mano all’aratro si è voltato indietro”? Non sappiamo: ma la cosa, certo, ci pesa un poco sul cuore.
Abbiamo a lungo pensato che queste difficoltà nascessero da
problemi organizzativi: abbiamo così oscillato tra le soluzioni più estreme: un anno, quando la Comune era tutta concentrata su altri compiti (ospitalità ai
rifugiati cileni, n.d.r.), abbiamo utilizzato quattro studenti a metà tempo per curare ragazzi e adulti, scuola e attività ricreative, per assicurare il collegamento tra gli insegnanti, produrre il materiale, convocare le riunioni, ecc. Si è notato che in questo modo si stabiliva una sorta di “delega” e si de-responsabilizzavano gli insegnanti, scoraggiando in particolare la partecipazione degli ex allievi (ma è stato l’anno in cui abbiamo raggiunto il record delle promozioni sia nella licenza media che nella elementare). L’anno dopo abbiamo del tutto abolito i “mezzi tempi” (anche per ragioni oggettive; chi faceva il militare, chi entrava nel lavoro professionale), e abbiamo deciso di decentrare tutti i compiti tra i 40 componenti del “gruppo scuola”. Risultato: un affaticamento pauroso di tutti i membri del gruppo, e abbassamento significativo del numero dei candidati presentati all’esame (anche se con voti più che soddisfacenti: ma non è il voto che interessa in una scuola come questa).
Quest’anno abbiamo trovato una soluzione mediana: la comune ha espresso una persona che si dedica volontariamente, ma a pieno tempo, all’attività della scuola: presente ogni sera, e disponibile durante la giornata, assicura quella continuità imponderabile che è essenziale per una iniziativa come la nostra, che impegna gente già molto impegnata, e si rivolge a gente carica di tutti gli stress della vita moderna sommati con tutte le frustrazioni proprie della condizione operaia. Inoltre una persona del gruppo dedica le sue mattinate ai lavori correnti di segreteria, sia per la scuola che per il circolo e le altre attività.