Cari amici,
con grande allegria costato che a poco a poco si fanno realtà i progetti di cui si è parlato ad Agape nell' estate scorso, cosicché ora, chi fa riferimento alla esperienza della Comune e al Lombardini, può contare con un indirizzo concreto per lo scambio di idee e per ritrovarsi con gli amici, sia pure in modo virtuale.
Quando scrivo queste linee mi trovo in una pausa del mio lavoro che, anche se più formale, ha molte somiglianze con il lavoro alla scuola serale al Lombardini. Certo la Germania del 2008 non è l'Italia del 1975, ma i problemi sono gli stessi o sono diventati più gravi: disoccupazione, povertà materiale e spirituale, mancanza di prospettive. Qui e dappertutto.
Dopo 26 anni è stata per me una vera e propria gioia rivedere tanti amici l'ottobre scorso ad Agape, poter conoscere tanti altri di cui avevo sentito parlare, vedere come alcuni dei bambini di allora sono cresciuti e diventati a loro volta dei genitori (nel frattempo anche io appartengo alla categoria dei nonni), sentire che anche se i tempi e le circostanze sono cambiati, i legami persistono: le tracce, i solchi e le impronte di quella esperienza di vita sono ancora vive. Almeno in me: perché fanno parte del periodo più felice e più intenso della mia vita.
E non poteva essere altrimenti. Alla Comune ho imparato a conoscere la solidarietà e a vivere in piccolo quel comunismo che volevo in grande, a mangiare insieme in una grande famiglia, dove la porta di casa era letteralmente sempre aperta per chiunque, a rispettare e ad ammirare credenti evangelici che con la loro vita e la loro opera davano testimonio di fede. Siamo venuti via dal
Cile di Pinochet con la paura e le incertezze nel cuore e abbiamo trovato un gruppo di gente - la maggior parte di loro, Valdesi (una comunità religiosa per noi sconosciuta) - che ci ha accolto con vero amore per il prossimo in senso cristiano e molta solidarietà nel senso in cui questa parola veniva intesa e sentita nella sinistra di allora. Mai abbiamo percepito l'intenzione di voler essere convertiti oppure "catechizzati", sempre invece abbiamo trovato qualcuno disposto ad aiutarci a trovare lavoro, una sistemazione, ad accompagnarci in questura, al consolato svizzero per fare le pratiche per l'immigrazione, a trovare un posto dove dormire quando la comune si fece troppo stretta (alcuni dei bambini d'allora che oggi sono genitori hanno dovuto rinunciare alle loro camere da letto per fare posto ai profughi).
Eravamo degli stranieri e nonostante ci siamo sentiti subito a casa. Di più: ci siamo sentiti subito come alla casa dove avremmo voluto sempre vivere; con teste e cuori aperti, con dibattito politico intorno ad un tavolo grande con una tovaglia di plastica rossa e bianca, con dei bambini intorno, con molta umanità.
Sarà che diventando nonno i segni della vecchiaia si fanno presenti e mi sembra che i tempi passati erano migliori, ma allora mi sono sentito parte di un collettivo che sapeva bene dove andare; forse i credenti fra voi la pensano o la sentono diversamente ma, ricordando quei tempi, e guardandomi intorno oggi, mi prende la depressione,
Non sarebbe completo questo ricordo senza esprimere la mia gratitudine a tutti coloro che ci aiutarono nelle più diverse forme, anche se, probabilmente loro, con tanto di gratitudine non si sentiranno a suo agio.
Juan Oviedo
Aquisgrana (Germania)